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Il Consiglio Pastorale Parrocchiale... ovvero il CPP

 

Che cos’è e a cosa serve il CPP? 

 “Nella Parrocchia il Consiglio Pastorale è un organismo ecclesiale di comunione e di partecipazione. Costituito dalle diverse componenti della comunità e dai rappresentanti dei settori pastorali, esso esprime l’unità e la corresponsabilità comune del popolo di Dio sotto la guida del proprio pastore, ed è chiamato ad essere strumento di ricerca, di programmazione e di verifica dell’attività pastorale. Esso ha anche il compito di tradurre nella realtà parrocchiale le linee operative della pastorale diocesana. Nell’insieme delle varie esigenze e attività pastorali della comunità cristiana, il consiglio pastorale ha la funzione di vigilare con discernimento evangelico perché non prevalgano criteri di efficientismo o interessi di gruppi particolari, ma sia presente sempre la preoccupazione che la parrocchia risponda alla sua fisionomia di chiesa in ordine all’evangelizzazione, al culto e alla carità per la missione. Si ritiene pertanto necessaria l’istituzione del consiglio pastorale in ogni parrocchia”. 

  • organismo ecclesiale di comunione e di partecipazione”:

alla base del CPP c’è l’essere della chiesa: si è chiesa se si vive concretamente la comunione (unione di spirito e intenti, di affetti e relazioni) e se si partecipa concretamente alla sua edificazione nella storia (la chiesa è “Corpo” di Cristo, quindi anche soggetto “visibile”, storico).

  • composto dalle diverse componenti della comunità e dai rappresentanti dei settori pastorali”:

la sua composizione è quindi fatta da chi fa parte della comunità parrocchiale e ci lavora pastoralmente (cioè è coinvolto praticamente nella edificazione della comunità cristiana). C’è da capire bene il confine tra comunità cristiana e comunità civile. Anche se vivono nello stesso territorio non sono fatte dalle stesse persone, o lo sono con ruoli e incarichi diversi. Non coincidono, anche se l’una (la chiesa) è a servizio dell’altra (territorio) con atteggiamento missionario.

  • esprime l’unità e la corresponsabilità comune del popolo di Dio sotto la guida del proprio pastore”:

il CPP quindi ha anche un ruolo “manifestativo”, cioè di mostrare, come un segno, una icona, il volto della chiesa una e corresponsabile. Deve esistere come “luogo” concreto, “quasi sacramentale” (nel senso ampio di segno visibile) della chiesa unita nel sentirsi responsabile in tutti i suoi membri, della missione della chiesa nel territorio. Ma non è un organismo paragonabile ad altri organi di partecipazione di tipo democratico (non è analoga al consiglio comunale, ad esempio), perché è guidata da un ministro ordinato che è il parroco. La sua “guida” è però analoga alla guida di Gesù, vero pastore della chiesa. Una guida che non annulla le persone, ma che, nello stesso tempo, tiene viva l’attenzione del popolo di Dio verso la meta, verso i valori trascendenti, che sono sempre al di là del puro consenso della maggioranza. Quindi, il vero problema del CPP è contemperare la corresponsabilità di tutti e la responsabilità del parroco, che ha il compito della decisione finale (finale, appunto, vuol dire alla fine di un processo di discernimento comunitario e di ascolto vero del “consiglio” di tutti). L’autorità del parroco consiste, etimologicamente, nel far crescere (auctoritas, deriva da “augere”, cioè “far crescere”) la soggettività e la responsabilità di tutti i fedeli in ordine alla missione comune della chiesa. Nessuno deve sentirsi membro “passivo”, ma nessuno pure deve sentirsi “autonomo” nella realizzazione della missione comune della chiesa qui e ora. Si cresce “insieme”, con tutte le fatiche e i sacrifici che ciò comporta. Senza sacrificare l’unità in nome della diversità e senza sacrificare la diversità in nome dell’unità. In questo si realizza la chiesa come “icona della Trinità”.

  • è chiamato ad essere strumento di ricerca, di programmazione e di verifica dell’attività pastorale”:

cosa deve fare il CPP: deve anzitutto cercare, cioè guardare, vedere, capire cosa deve fare nella situazione concreta della parrocchia, al fine di realizzare la missione della chiesa. Il primo passo di ogni decisione pastorale è l’osservazione attenta della realtà.

Quindi, prima di decidere cambiamenti, impostazioni, deve aver raggiunto una ragionevole chiarezza nella lettura della situazione pastorale della parrocchia e del territorio. Altrimenti rischia di battere l’aria o di decidere cose che non incidono sulla realtà. Poi c’è la programmazione: cioè la decisione operativa di cosa fare e perché farlo.

Il rischio che si corre è quello di ripetere sempre lo stesso programma solo per inerzia, per pigrizia, per mancanza di visione e di lettura dei bisogni veri del territorio e della parrocchia. Con il rischio di tradire la missione stessa e di rendere inefficaci gli sforzi pastorali. Alla fine deve anche verificare il programma deciso. La verifica serve appunto a non dare per scontato che ciò che si è fatto fin ora sia sempre il meglio che si poteva fare. Forse c’è da cambiare qualcosa, forse si può migliorare. Ma questo lo si deve vedere insieme e decidere insieme. La guida del parroco si manifesta proprio nella capacità e responsabilità di condurre questo processo di discernimento comunitario: vedere, giudicare, agire e verificare. Naturalmente alla luce della Parola di Dio, del Magistero della chiesa, anche locale, e della situazione particolare della parrocchia. Molte attività si fanno nelle parrocchie, ma spesso solo perché si è abituati a farle, non perché siano le più idonee ad affrontare la situazione pastorale che è cambiata e cambia abbastanza rapidamente.

  • Esso ha anche il compito di tradurre nella realtà parrocchiale le linee operative della pastorale diocesana”:

La diocesi è la chiesa di cui la parrocchia è parte e manifestazione, analogamente a come ogni diocesi è la chiesa nella quale “sussiste” e “dalla quale e nella quale” esiste la chiesa universale (LG 23). Quindi le decisioni operative della chiesa diocesana, espresse dai piani pastorali promossi dal vescovo diocesano, sono da intendersi come linee guida da “tradurre” (quindi anche adattare) alla parrocchia da parte del CPP col parroco. Il legame della parrocchia con la diocesi, e quindi il suo essere chiesa “cattolica”, si manifesta anche in questa “sinergia” con la programmazione diocesana.

  • il consiglio pastorale ha la funzione di vigilare con discernimento evangelico perché non prevalgano criteri di efficientismo o interessi di gruppi particolari, ma sia presente sempre la preoccupazione che la parrocchia risponda alla sua fisionomia di chiesa in ordine all’evangelizzazione, al culto e alla carità per la missione”:

la funzione episcopale (di vigilanza) è quindi non solo del parroco, ma di tutto il CPP, che partecipa a questo compito profetico verso tutta la comunità parrocchiale proprio del parroco (che sorveglia, vigila, in nome e in analogia al “vescovo” diocesano). La vigilanza è necessaria proprio perché, col tempo e la mancanza di controllo, possono essersi introdotti nella pastorale parrocchiale, elementi spuri, che non sono coerenti col vangelo e con il magistero della chiesa, che invece devono essere i fari e i criteri delle decisioni pastorali. Col tempo, e la mancanza di vigilanza o guida, possono aver preso il reale “potere” gruppi particolari, che non operano conformemente al vangelo, ma solo per i propri interessi, e questo non è accettabile. Se nella lettura della situazione della parrocchia, si verifica la preponderanza del “fare” rispetto al “meditare” e ascoltare la Parola di Dio, si deve correggere questa tendenza, riportando al giusto posto le priorità evangeliche ed ecclesiali. L’evangelizzazione, la liturgia e la carità per la missione, sono le vere priorità e i criteri guida delle decisioni pastorali.