Cerchiamo di comprendere questo progetto.
Forse è bene iniziare subito col dire quello che non sono.
1. Le Unità Pastorali non sono semplicemente l’unione di molte parrocchie sotto la guida di un solo sacerdote, al quale venga richiesta l’impossibile fatica di garantire ad ognuna un minimo di funzionalità, affinché ciascuna di esse continui a vivere alla stessa maniera di quando aveva un sacerdote tutto per sé. In questo caso il sacerdote diventerebbe un pluriparroco che dovrebbe moltiplicare la sua presenza e le sue attività in ogni singola comunità. Questa sarebbe unicamente una strategia di conservazione, che finirebbe col produrre una lenta morte per asfissia delle singole comunità: non è andando a celebrare una messa ogni tanto, e quasi sempre con fretta, che si promuove la crescita di una comunità. L’Eucarestia è «culmine» della vita della Chiesa. È un punto di arrivo a cui si giunge attraverso una molteplicità di iniziative comunitarie, come l’annuncio della parola di Dio, la catechesi, una corretta e dignitosa celebrazione dei sacramenti, l’impegno della promozione umana. Su queste iniziative deve convergere l’impegno concreto di molte persone e non del solo sacerdote, che non potrà essere sempre presente. Solo così l’Eucarestia diventa anche «fonte» di vita cristiana (PO 5).
2. Le Unità pastorali non nascono neppure dalla soppressione delle piccole parrocchie che vengono rimpiazzate da una super-parrocchia nella quale siano centralizzate tutte le attività. La vita comunitaria deve avere una dimensione umana, legata a luoghi che costituiscono centri di gravitazione della vita sociale, ove le persone non si perdono in una massa anonima e disomogenea. È assolutamente necessario che ogni parrocchia, anche piccola, mantenga l’identità che si è costruita attraverso il suo cammino nel tempo e la possibilità di rapporti umani autentici. Questo non può avvenire in una mega-parrocchia con un super-parroco. Perciò deve essere subito chiaro a tutti che il discorso delle Unità Pastorali non implica la soppressione di nessuna delle parrocchie esistenti.
3. Possiamo allora così definire le Unità Pastorali: «una pluralità di comunità parrocchiali che camminano pastoralmente insieme in modo unitario sotto la guida di più sacerdoti».
Analizzando brevemente:
- «pluralità di comunità parrocchiali»: quindi più comunità parrocchiali che rimangono tali nella loro personalità giuridica;
- «che camminano»: quindi comunità vive, non statiche o anemiche, che imparano a camminare con le proprie gambe, soprattutto per una vasta corresponsabilizzazione dei laici;
- «pastoralmente insieme in modo unitario»: la pastorale di questo gruppo di parrocchie deve essere gestita insieme, cioè con ritmi coordinati di vita, di iniziative e di strutture pastorali;
- «sotto la guida di più sacerdoti»: ogni parrocchia non avrà di fronte un solo parroco ma una comunità di preti nel servizio comune di tutte le parrocchie
Non si tratta perciò – come già asserito – di sopprimere delle parrocchie, ma di ravvivarle, responsabilizzandole. Ogni comunità deve vivere la propria vita, animata soprattutto dalla partecipazione dei laici, coordinandosi nell’Unità Pastorale in modo tale che la necessità della presenza del sacerdote non superi la disponibilità esistente. Si individuano subito due elementi essenziali che devono caratterizzare la vita delle Unità Pastorali: la responsabilizzazione dei laici e la pastorale di insieme.
Ciò comporta che per ogni parrocchia dell’Unità Pastorale, debbano essere attivati i consigli pastorali e per gli affari economici, il gruppo animatori e collaboratori, ed un responsabile di comunità. Anche per ogni Unità Pastorale andranno progressivamente attivati gli stessi consigli di Unità e, possibilmente, il servizio di uno o più diaconi permanenti ed un centro pastorale unitario sufficientemente attrezzato. L’Unità Pastorale quindi non annulla e non mortifica le piccole comunità ecclesiali, ma le valorizza, assicurando loro una reale e diffusa responsabilizzazione implicante l’esercizio di molteplici ministeri o servizi pastorali svolti soprattutto dai laici, doverosamente sensibilizzati e preparati.
UNA NUOVA VISIONE DI CHIESA
Da quanto sopra esposto, dovrebbe apparire chiaro che il progetto delle Unità Pastorali, se può essere stato sollecitato dalla carenza di sacerdoti, non trova in essa la sua vera ragione. La motivazione profonda va ricercata nella visione di Chiesa offertaci dal Concilio Vaticano II, il quale, in un tempo in cui la scarsità di sacerdoti non si presentava in termini così eclatanti, insegnava che un’autentica vita di chiesa è garantita dalla partecipazione e corresponsabilità di tutti i cristiani. La salvezza che Cristo ha portato passa attraverso la Chiesa. Tocca ad ogni cristiano costruire la Chiesa perché sia, in ogni tempo ed in ogni luogo, il segno e lo strumento dell’azione salvifica di Gesù. Ognuno nella sua comunità deve sentirsi membro vivo e operante, disponibile alla chiamata dello Spirito che concede a ciascuno il suo dono in favore della Chiesa; ognuno deve essere disponibile a svolgere un determinato ruolo attivo (ministero) accogliendo l’invito dei pastori. Ogni comunità, anche piccola, ha diritto ad un autentico ed efficace servizio pastorale. Tale servizio è certamente qualificato dallo specifico ministero che solo il sacerdote può svolgere, come la celebrazione dell’Eucarestia e degli altri sacramenti. Ma è pure costituito in parte notevole da attività che possono essere svolte da laici. Si pensi, per esempio, alla catechesi, all’azione caritativa, all’animazione liturgica, all’organizzazione del tempo libero o di altre iniziative per la vita della comunità e soprattutto all’amministrazione. Ogni comunità, per essere tale, ha bisogno certamente di un animatore locale, come punto di riferimento e di unità. Ma questo ruolo può essere assunto anche da un diacono, un religioso, una religiosa, un laico, un catechista, senza che necessariamente si richieda la presenza di un parroco fisso che risieda sul posto. Occorre dunque la conversione ad una mentalità ispirata a questa visione di Chiesa la quale, mentre promuove e responsabilizza i laici, esenta il sacerdote da attività che non gli sono proprie. È stata questa la concezione di Chiesa che ha guidato gli apostoli nella scelta dei diaconi. Gli apostoli volevano essere considerati uomini della parola e della preghiera e a queste attività volevano riservare totalmente se stessi (At 6,1). Altri nella comunità potevano assumere i servizi della carità e dell’organizzazione ecclesiale. Ciò non equivale ad un deprezzamento del ministero sacerdotale. Al contrario è collocare il sacerdote nel suo specifico ruolo: quando il sacerdote mette veramente gli uomini in comunione con Dio, attraverso l’impegno personale della preghiera ed il servizio della parola e dei sacramenti, la comunità si costituisce, si cementa nell’unità, che è il suo segno di riconoscimento e la sua condizione di credibilità, diventa missionaria con la testimonianza e con una moltiplicata inventiva pastorale (LG 28). In questo modo il sacerdote scopre di essere veramente il centro dell’unità e il segno visibile di Cristo Buon Pastore. Anche Gesù fuggì quando volevano farlo re (Gv 6,15) o si ritirava in luogo solitario a pregare quando gli apostoli andavano a dirgli: «tutti ti cercano» (Mc 1,37). Voleva che rimanesse chiaro per tutti che egli era venuto soprattutto per donare la verità e l’amore di Dio. Pure al sacerdote non si deve chiedere più di questo, perché quando dona agli uomini la Parola e la Grazia di Dio, li abilita a compiere tutte le altre opere di apostolato.
UN NECESSARIO CAMBIAMENTO DI MENTALITÀ
1. Il ministero presbiterale
I sacerdoti non temano di riconoscere e di promuovere i ruoli che competono ai laici nella Chiesa per espressa volontà divina. Il loro ministero sacerdotale non risulterà ridimensionato, ma molto potenziato. Qualora infatti il presbitero sarà nelle condizioni di poter trasmettere al popolo di Dio «l’unica cosa necessaria», la comunione con Cristo Signore, vedrà moltiplicarsi il frutto della sua opera e assai più grande e vera sarà la gioia della sua attività di pastore. Costituire o riunire il consiglio pastorale per la programmazione della vita della parrocchia e dare veramente fiducia ai laici ascoltandoli seriamente, possono essere un primo necessario impegno del sacerdote. Di qui egli potrà partire per individuare persone disponibili a svolgere alcuni particolari servizi nella comunità, avendo cura di programmare la loro formazione. Naturalmente dovrà rispettare con pazienza i ritmi di crescita delle persone, sempre comportandosi come uno che crede che lo Spirito Santo distribuisce i suoi doni a tutti i battezzati. Il sacerdote non ha tutti i carismi, ma nell’ordinazione sacerdotale riceve la capacità di discernere e coltivare i carismi di tutti, per convogliarli nell’unica direzione della fraterna collaborazione per la venuta del Regno di Dio.
2. L’animatore locale
È una persona che, in assenza del sacerdote, esercita il ruolo di responsabile della comunità. Deve essere persona animata da grande spirito di fede, di retta intenzione e di servizio, esperta di comunione, aliena da ogni desiderio di diventare protagonista. L’animatore locale deve essere il punto di riferimento verso cui converge tutta una comunità che non ha il sacerdote residente. Soluzione ottimale sarebbe che l’animatore locale potesse essere un diacono permanente ma, in mancanza di esso, questo ruolo può essere svolto anche da un laico, uomo o donna, indicato dalla comunità stessa come persona preparata. Emerge subito la necessità di promuovere la formazione di questa figura, sia attraverso una più autentica e capillare presentazione della vocazione diaconale, sia predisponendo particolari cammini di fede e corsi di formazione che potranno abilitare certe persone ad un così alto e qualificato servizio. Va osservato che questo discorso riguardante il compito dei diaconi o di laici deputati all’animazione di una comunità, non risponde soltanto ad un problema organizzativo, ma anche ad una verità teologica. Troppo spesso i presbiteri hanno svolto mansioni di pura supplenza. È giunta l’ora che altri membri della comunità diventino soggetti attivi nella vita ecclesiale, che abbiano la possibilità di prepararsi a compiti che richiedono competenza unita ad una forte vita di fede, e che siano riconosciuti come normale espressione di un autentico dinamismo ecclesiale. I segni dei tempi ci sollecitano ad un ricupero della vera identità della comunità cristiana, e dei ruoli specifici e complementari del laico e del presbitero. È il principio di sussidiarietà, che spesso abbiamo dimenticato, che deve essere messo in evidenza: la Chiesa è un corpo in cui ogni membro deve svolgere la parte che gli è propria ed a nessuno deve essere richiesto di fare quello che altri possono compiere. La vitalità del corpo ecclesiale è data proprio dal fatto che tutte le articolazioni siano ben compaginate, funzionanti e intercomunicanti (Cfr. AA 3).
3. La centralità dell’Eucarestia
Qualcuno si chiederà se per questa strada non si finisca col perdere di vista la funzione centrale che ha l’Eucarestia per la vita della Chiesa. Già è stato accennato che l’Eucarestia per essere in modo efficace «fonte» della vita ecclesiale, deve prima essere «culmine» di tutta un’azione pastorale evangelizzante. Non è moltiplicando il numero delle Messe che — quasi magicamente — si rinvigorisce la vita cristiana. È la qualità delle nostre celebrazioni eucaristiche ed è il grado di partecipazione da parte dei fedeli che fanno delle nostre eucarestie la vera «Pasqua del Signore», nella quale diventiamo uomini nuovi perché vengono alimentati il nostro amore a Dio e ai fratelli ed il nostro impegno di testimonianza.
Troviamo un riscontro di quanto affermo nel fatto che nei tempi passati si è cercato in ogni modo di rendere comoda la partecipazione alla Messa, moltiplicando il numero delle celebrazioni ed eliminando il più possibile le distanze geografiche. Ma il calo della frequenza è stato sempre più vistoso e le comunità non sono cresciute in dinamismo apostolico, lasciando spazio ad una sempre più marcata secolarizzazione. Dunque non è quella la strada da percorrere. Là dove la celebrazione dell’Eucarestia non fosse più possibile ogni domenica, situazione che per certe parrocchie potrebbe verificarsi tra non molti anni, si potrebbero, a giudizio del parroco e con il consenso esplicito del Vescovo, tenere altri incontri di ascolto della parola e di preghiera, per preparare la comunità al momento culminante della «Cena del Signore», quando essa sarà possibile. (Cfr. Direttorio della S. Congregazione per il Culto divino sulle "Celebrazioni domenicali in assenza del Presbitero" del 2.6.1988). Non si tratta di soluzione alternativa nel senso che, non potendo avere un sacerdote per la celebrazione della Messa, ci si accontenta di un incontro più modesto. Si tratta invece di coltivare un momento ugualmente forte per la vita della comunità nel quale, per mezzo dell’ascolto della Parola, si viene illuminati sulla conoscenza del mistero di Dio e su quanto egli desidera da noi, si viene rincuorati nel desiderio di fare la sua volontà, ed infine aiutati a prendere coscienza della nostra difficoltà ad amare in modo adeguato Dio e i fratelli. Proprio dall’ascolto della Parola nascerà il bisogno di pregare di più e meglio, con la certezza che anche per noi si realizza la parola di Gesù: «dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20). Ma tutto dovrà essere vissuto come una tappa intermedia «in attesa del sacerdote». Quando l’Eucarestia sarà possibile, il ritrovarsi attorno all’altare diventerà un gioioso andare incontro al Signore che viene per aiutarci a celebrare con Lui la sua Pasqua, per passare dallo squallore del peccato alla sua amicizia, dal grigiore del quotidiano ad una vita nella quale anche noi impariamo a lasciarci spezzare per amore, facendo della nostra vita un’esistenza «donata» (Cfr. 1 Cor 11, 17-33). Niente vieta intanto, anzi è fortemente auspicabile per non dire "doveroso", che coloro i quali hanno la possibilità di usare mezzi di trasporto si rechino nel luogo più vicino, dove l’Eucarestia viene celebrata in giorno di domenica o in quella domenica, e che vi conducano anche le persone anziane della famiglia o vicine di casa. È questa una forma mirabile di farsi prossimo a chi può aver bisogno di noi per una sua vita spirituale più ricca. Le chiese parrocchiali però, nelle quali non fosse possibile in certe domeniche celebrare l’Eucarestia, non dovranno restare chiuse: ci si dovrà riunire per leggere, meditare, pregare la parola di Dio e per lodare il Signore specialmente nella forma proposta dalla «Liturgia delle ore», che è la preghiera ufficiale della Chiesa.